Gli obblighi di adeguata verifica della clientela e di segnalazione di operazioni sospette sono considerati significativi e qualificanti nell’ambito del contrasto del fenomeno del riciclaggio; la normativa contenuta nel Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231 e s.m.i., disegna la “collaborazione” attiva richiesta ai soggetti destinatari ai fini della prevenzione e il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
Rilevanti ai fini di questo breve excursus sono gli articoli 41 (comma 1 e 6), 42 (comma 2 e 4) e 52 (comma 2).
L’art. 41, prevede l’obbligo in capo agli intermediari finanziari di segnalare le operazioni sospette all’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) istituita presso la Banca d’Italia «quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo», in base agli elementi acquisiti nell’ambito dell’attività svolta. Le segnalazioni all’autorità competente devono essere eseguite senza ritardo; nel momento in cui il soggetto tenuto alla segnalazione matura la convinzione che l’operazione può essere sospetta, ha il dovere di segnalarla.
L’art. 42 comma 2 individua invece, come criterio generale, il principio di far transitare la segnalazione attraverso il rappresentante legale o un suo delegato, che ai sensi del successivo comma 4 deve vagliarne la rilevanza e inviarla alla UIF priva del nominativo del segnalante stesso.
L’articolo 52 comma 2 impone al collegio sindacale e agli altri organi di controllo del sistema dualistico e del sistema monistico (rispettivamente consiglio di sorveglianza e comitato per il controllo interno), all’organismo di vigilanza ex art. 6 D.lgs. 231/2001 e a «tutti i soggetti incaricati dal controllo di gestione comunque denominati», obblighi di comunicazione permanente delle violazioni riscontrate.
Le segnalazioni di operazioni sospette, effettuate ai sensi e per gli effetti della norma in parola, non costituiscono per espressa disposizione di legge (art. 41, comma 6, D.Lgs. 231/2007) violazioni degli obblighi di segretezza, del segreto professionale o di eventuali restrizioni alla comunicazione di informazioni imposte in sede contrattuale o da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative; se poste in essere per le finalità ivi previste e in buona fede, non comportano responsabilità penali o civili per il segnalante.
In conclusione, l’attività di segnalazione dell’operazione sospetta:
- non costituisce denuncia di reato;
- è una forma di collaborazione doverosa al fine dell’accertamento di eventuali illeciti penali
- è incentrata su un doppio livello di valutazione;
- richiede garanzie di anonimato del segnalante.
Le conclusioni sopra elencate trovano ulteriore conforto anche nelle previsioni della cd. Quarta Direttiva Antiriciclaggio (Dir. UE 2015/849) entrata in vigore il 26 giugno 2015 e che richiede agli Stati membri un obbligo di adeguamento entro il 26 giugno 2017.
In particolare la Quarta Direttiva, dopo aver evidenziato al Considerando n. 41 che «In sono stati dei casi in cui dei lavoratori dipendenti che hanno denunciato i loro sospetti in merito a casi di riciclaggio sono stati vittime di minacce o di atti ostili» e che «Gli Stati membri dovrebbero essere coscienti di tale problema e compiere ogni sforzo per proteggere gli individui, inclusi i lavoratori dipendenti e i rappresentanti del soggetto obbligato, da tali minacce o atti ostili, e fornire, conformemente al diritto nazionale, un’adeguata protezione a tali persone, in particolare per quanto riguarda il diritto alla protezione dei dati personali e i diritti ad una tutela giurisdizionale e a una rappresentanza effettive», introduce all’art. 61 un obbligo per gli Stati Membri di disciplinare il tema delle segnalazioni sia verso le autorità di vigilanza di settore sia all’interno degli stessi enti destinatari della normativa antiriciclaggio, stabilendo l’introduzione di meccanismi che contemplino:
- procedure specifiche per il ricevimento di segnalazioni di violazioni e relativo seguito;
- adeguata tutela dei dipendenti di soggetti obbligati o di persone in posizione comparabile che segnalano violazioni commesse all’interno di tali soggetti;
- adeguata tutela della persona accusata;
- protezione dei dati personali concernenti sia la persona che segnala le violazioni sia la persona fisica sospettata di essere responsabile della violazione, conformemente ai principi stabiliti dalla direttiva 95/46/CE;
- norme chiare che garantiscano la riservatezza della persona che segnala le violazioni, salvo che la comunicazione di tali informazioni sia richiesta dalla normativa nazionale nel contesto di ulteriori indagini o successivi procedimenti giudiziari.
Per effetto delle norme testè citate l’ODV viene ad essere coinvolto ope legis nella prevenzione di illeciti mediante l’imposizione normativa di doveri di controllo: l’ODV non dovrà “soltanto” vigilare sull’attuazione dei Modelli, ma direttamente e in modo più pregnante, sul rispetto, da parte della società, della normativa anti riciclaggio.
In dottrina, c’è stato chi (Gargani) ha evidenziato che l’art 52 sembra aprire nuovi scenari, ponendo un vero e proprio obbligo giuridico di impedire il reato, che costituisce il primo presupposto della c.d. clausola di equivalenza di cui all’art 40 cpv. c.p.
La fonte dell’obbligo di impedire l’evento potrebbe ravvisarsi negli artt. 6 lett. a), b) e d) e 7 d. lg. 231/2001: la posizione di garanzia dei componenti l’ODV risiederebbe direttamente nei modelli di organizzazione e gestione e verrebbe assunta in forza del contratto, in particolare del contratto di lavoro con la società.




