Le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 24823 del 9 dicembre 2015 sono intervenute sulla nota questione circa l’esistenza di un obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo per tutti gli accertamenti fiscali, compresi quelli effettuati “a tavolino”, senza verifica presso i locali del contribuente.
Si ricorderà che la questione, prende le mosse dall’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente (Legge n. 212/2000), in base al quale dopo il rilascio del PVC da parte dei verificatori che hanno eseguito delle attività ispettive presso la sede del contribuente, devono trascorrere sessanta giorni prima che il Fisco possa notificare il relativo avviso di accertamento, durante i quali il contribuente può formulare osservazioni che l’Ufficio è tenuto a valutare.
Sempre le SS.UU. con la sentenza n.18184/2013 erano già intervenute sul thema stabilendo la nullità dell’avviso di accertamento emesso prima del decorso dei predetti sessanta giorni, atteso che la sua finalità è quella di tutelare l’effettivo svolgimento del contraddittorio endoprocedimentale in ossequio dei principi di collaborazione e buona fede tra Amministrazione finanziaria e contribuenti, semprechè non sussistano ragioni di motivata urgenza che legittimino l’emissione anticipata dell’atto impositivo.
Con diverse sentenze (Cass. n. 6088/2011, n. 10381/2011, n.20770/2013, n. 2594 e n. 5373/2014), il Giudice di legittimità aveva ribadito il principio che, conformemente al dato letterale della disposizione dello Statuto, le tutele da essa previste a favore del contribuente operano limitatamente a verifiche, ispezioni ed accessi eseguiti presso la sua sede.
Tale interpretazione aveva determinato talune preoccupazioni che avevano “spinto” la stessa Cassazione ad assumere posizioni più garantiste: con le sentenze n. 19667 e 19668 del 18 settembre 2014 le Sezioni unite, hanno stabilito, senza mezzi termini e per la prima volta, che esiste nell’ordinamento un “diritto al contraddittorio”, rectius un obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale a carico dell’Amministrazione finanziaria, dovendosi esso applicare anche ai controlli c.d. a tavolino, cioè quelli attivati presso i suoi Uffici pur in assenza di una specifica norma, a pena d’invalidità dell’atto nel caso di omissione del confronto.
Per completezza di questo breve excursus va segnalata anche l’esistenza di un terzo orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità che aveva tratto, invece, spunto dalla sentenza della Corte di Giustizia UE del 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13 – Kamino -, in base al quale la nullità conseguirebbe dall’omissione del contraddittorio soltanto se il contribuente dimostra che qualora lo stesso fosse stato attuato l’esito del procedimento avrebbe potuto essere diverso, con riferimento non tanto alle probabilità di “vittoria” quanto alla ragionevolezza delle argomentazioni difensive.
Tale orientamento è stato, da ultimo richiamato e condiviso dalle sentenze della Suprema Corte del 21 gennaio 2015, nn. 959, 960 e 961, e del 29 luglio 2015, n. 16036.
La soluzione al problema interpretativo, seppure con una decisione che sta sollevando in dottrina notevoli perplessità, è stata fornita dalla Corte di Cassazione a Sezioni unite con la sentenza del 9 dicembre 2015, n.24823, che ha sancito l’inesistenza, nel nostro ordinamento tributario, di un generalizzato obbligo di contraddittorio preventivo a pena dell’invalidità dell’atto.
Si legge nella sentenza che ciò è dimostrato dal fatto che esistono, invece, specifiche disposizioni che impongono in determinati casi l’obbligatorietà del confronto tra Fisco e contribuenti, come l’art. 10 della legge n. 146/1998 per gli accertamenti da studi di settore, l’art. 6, comma 5, dello Statuto del Contribuente (Legge n. 212/2000) per la liquidazione automatica delle dichiarazioni, l’art. 36 ter del D.P.R. n. 600/1973 per i controlli formali, il nuovo art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 per gli accertamenti sintetici, il nuovo art. 10 bis dello Statuto per gli accertamenti da abuso di diritto e naturalmente il già citato art. 12, comma 7, del medesimo Statuto per verifiche, ispezioni ed accessi presso i locali del contribuente.
Di conseguenza nel caso di un ordinario controllo documentale della contabilità eseguito presso l’Ufficio, il contribuente non ha diritto ad alcun contradditorio preventivo, ed il Fisco potrà cosı emettere l’atto impositivo senza la necessità di dover avviare un preventivo confronto, salvo che ovviamente si tratti delle contestazioni relative alle fattispecie sopra elencate, per le quali il legislatore ha specificamente imposto il confronto endoprocedimentale.
Più precisamente, con questa attesa decisione, la Cassazione ha sancito la obbligatorietà del contraddittorio preventivo per l’accertamento dei soli tributi “armonizzati” e non per quelli “non armonizzati”.
Da tale principio sono scaturite le seguenti conseguenze:
- in tema di tributi “non armonizzati” (ovvero tutti quelli non regolamentati al livello comunitario, Imposte sui redditi, IRAP) il detto obbligo “sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali … risulti specificamente sancito”;
- per i tributi “armonizzati” (quali l’IVA e le imposte doganali), “avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni si riveli non puramente pretestuosa).
Per i tributi armonizzati, diversamente dall’ordinamento interno, esiste in quello comunitario un obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo, come sancito dall’ormai nota sentenza Sopropè (causa C-349/07 del 18 dicembre 2008) che costituisce il leading case in materia.
La situazione creatasi per effetto della sentenza in commento sta sollevando un vivace dibattito in dottrina[1].
Da più voci autorevoli è stato evidenziato come il risultato prodotto dalla sentenza sia la creazione di una serie di ingiustificate disparità di trattamento in relazione alle diverse modalità di accertamento: si pensi, solo per fare un esempio, alla facoltatività del contraddittorio in relazione al “vecchio” redditometro e all’obbligatorietà dello stesso sancita normativamente in relazione a quello “nuovo” alla paradossale situazione nella quale un accertamento notificato in assenza del contraddittorio potrebbe risultare allo stesso tempo valido e nullo con riguardo al recupero di imposte armonizzate e non.
Anche in questo caso quindi non è stata data alla problematica in esame un a soluzione efficace e definitiva e da più parti è auspicata l’opportunità di un intervento riformatore dal parte del legislatore che restituisca all’ordinamento tributario principi chiari e sia grado di rappresentare dei sicuri punti di riferimento sia per i contribuenti che per la stessa Amministrazione finanziaria.
[1] E. De Mita, “Sul contraddittorio le Sezioni Unite scelgono una soluzione politica”, in Il Sole – 24 Ore del 16 dicembre 2015, pag. 43.
- Ferranti, “Cassazione e legislatore in “corto circuito” sull’obbligo del contraddittorio” in Il fisco n. 2 del 2016, pag. 1-107.




