Il recente decreto legislativo n. 158 del 24 settembre 2015 attua le previsioni contenute nell’articolo 8 della legge 11 marzo 2014, n. 23, con la quale era stata conferita delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente ed orientato alla crescita.
Sul versante penale, l’esigenza di razionalizzazione del sistema sanzionatorio trae origine dal riconoscimento, da parte del legislatore, dell’inadeguatezza e insufficienza dell’attuale assetto normativo.
Il sistema repressivo penal-tributario resta tuttavia incentrato sulla disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 74 del 10 marzo 2000 tanto che la scelta attuata con il decreto legislativo n.158 è stata definita come quella di mero restyling dell’esistente[1] .
In effetti la Relazione governativa sottolinea anche la circostanza che la legge di delegazione parli di «revisione», e non già di «riforma» o di «riscrittura» del diritto penale tributario, a significare che il legislatore ha inteso muoversi entro le coordinate di fondo del sistema vigente, per come originariamente delineate dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.
Si impone qualche riflessione, utile per affrontare gli interventi più significativi, in attesa dei primi interventi chiarificatori della giurisprudenza.
Orbene, alcuni di questi interventi hanno interessato direttamente le condotte fraudolente previste dagli art.2 e 3 del decreto legislativo 74/2000.
Le “nuove” dichiarazioni fraudolente.
Nell’articolo 2 del decreto legislativo 74/200, che punisce la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, è stata soppressa la parola “annuali” riferita alle dichiarazioni, con l’intento di ampliare il novero delle dichiarazioni rilevanti.
La modifica soddisfa la finalità di perseguire con più efficacia le condotte più gravi, qui caratterizzate dall’utilizzo di documentazione falsa.
Per effetto della cancellazione del riferimento alla annualità delle dichiarazioni, il delitto in questione può dunque ora perfezionarsi con qualunque dichiarazione, fra le quali rientrano, a titolo meramente semplificativo, le dichiarazioni dei redditi ed IRAP infra-annuali conseguenti alla messa in liquidazione di una società, le dichiarazioni nell’ipotesi di trasformazione, fusione e scissione societaria, le dichiarazioni di operazioni intracomunitarie relative agli acquisti, le dichiarazioni mensili di acquisti di beni e servizi compiuti da enti o altre associazioni non soggetti passivi di imposta. Il campo di applicazione della norma risulta dunque ampliato, ma non, naturalmente, con efficacia retroattiva, trattandosi di nuova incriminazione, anche se parziale.
Si è poi intervenuti anche sull’articolo 3, che punisce la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, con l’intento analogo di perseguire più efficacemente i comportamenti fraudolenti.
Una prima modifica di rilievo riguarda la soppressione del riferimento alle “scritture contabili obbligatorie”, di guisa che il reato è ora configurabile nei confronti di qualunque soggetto tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi o ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, anche se non obbligato alla tenuta delle scritture contabili.
Altra modifica riguarda la condotta materiale, che risulta semplificata: assume rilievo l’utilizzo di “mezzi fraudolenti” [per la cui nozione cfr. il nuovo articolo 1, lettera g-ter], qualificati dal fatto di essere idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria.
Si esclude comunque, nel nuovo comma 3, che possano integrare i mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali.
Nella Relazione si sottolinea questa modifica, che si giustifica nell’ottica di evitare di trasferire in sede penale condotte evidentemente ritenute prive di particolare disvalore, chiarendosi che, quindi, non integrano “mezzi fraudolenti” la violazione dell’obbligo di emissione o di fatturazione di documenti quali gli scontrini fiscali, i documenti di trasporto, ecc., e le pratiche della “sottofatturazione” e della annotazione di corrispettivi inferiori al vero.
Si interviene anche sulla soglia di punibilità del reato di cui all’articolo 3, costruita congiuntamente con riferimento al valore assoluto e percentuale dell’evasione.
Il fatto, cioè, è penalmente rilevante quando, congiuntamente:
- l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro trentamila
- l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro un milione cinquecentomila, ovvero l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta è superiore al cinque per cento
dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque ad euro trentamila.
Rispetto all’articolo 3, l’intervenuta abrogazione dell’articolo 7 del decreto legislativo n. 74 del 2000, si spiega – in tal senso nella Relazione di accompagnamento- con l’esigenza di escludere, rispetto a comportamenti fraudolenti, la ivi prevista disciplina di favore che portava ad escludere rilievo penale ad operazioni contabili a carattere valutativo.
Alcune di queste modifiche hanno natura sostanziale, imponendo, per i fatti pendenti, una rivalutazione degli elementi costitutivi del reato: ciò soprattutto con riferimento al nuovo comma 3 dell’articolo 3 e alle innovate soglie di punibilità previste dal comma 1 dello stesso articolo 3, quando si risolvano in una riduzione dell’ambito di rilevanza penale rispetto alla normativa previgente.
Per intenderci, volendo esemplificare, sembrerebbe non più configurabile il reato di cui all’articolo 3 nei confronti dal venditore di unità immobiliari che “sottofatturi” le vendite, facendosi consegnare dagli acquirenti somme di denaro in contanti senza provvedere alla registrazione dei contratti preliminari.
Il discrimen tra le due fattispecie di dichiarazione fraudolenta
Un problema interpretativo serio si pone però con riguardo al discrimen tra i due reati di che trattasi, quello di cui all’articolo 2 e quello di cui all’articolo 3.
Il tema si pone perché ora nell’ambito della condotta punibile ex articolo 3 rientra anche quella caratterizzata dall’utilizzo di “documenti falsi”.
Finora costituiva orientamento giurisprudenziale pacifico quello secondo cui, integravano il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall’articolo 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, e non già la diversa fattispecie prevista dal successivo articolo 3, sia l’utilizzo di documenti ideologicamente falsi, in riferimento alle operazioni inesistenti ivi indicate, che l’utilizzo di documenti materialmente falsi, perché apparentemente emessi da ditta in realtà inesistente.
Ciò lo si desumeva dall’articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 74 del 2000, secondo cui per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono “le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”; argomentandosi, inoltre, a conforto sulla ulteriore considerazione che ciò che rilevava era l’inesistenza dell’operazione economica riportata nella dichiarazione dei redditi o ai fini IVA, mentre l’operazione inesistente poteva essere attestata sia creando ex novo un documento falso, sia utilizzando un documento ideologicamente falso emesso da altri a favore dell’utilizzatore.
Tale orientamento non sembra ora più sostenibile, allorquando l’articolo 3 fonda la sussistenza del reato in caso di utilizzo di “documenti falsi”.
E’ conseguenza che sembra letteralmente imposta dalla lettura delle disposizioni incriminatrici, ma che, peraltro, suscita qualche dubbio di ragionevolezza, perché finisce con il confinare il rilievo penale delle condotte qualificate dall’utilizzo di documenti falsi, vuoi materialmente vuoi ideologicamente, ad un’ipotesi incriminatrice caratterizzata dalla presenza di soglie di punibilità, tra l’altro piuttosto elevate.
[1] Per gli aspetti critici di una rifoma c.d. “a bassa intensità” Vedasi sul punto il recente articolo “Ma la riforma dei reati è un’occasione persa” su lavoce.info di Marco Di Siena, dove acutamente l’Autore ritiene che l’intervento del legislatore “ … sotto alcuni profili non deprecabile, ma sotto altri quasi in controtendenza rispetto a ciò che ci si sarebbe potuti attendere e cioè una maggiore pervasività dei criteri di sussidiarietà ed extrema ratio”




